martedì 25 dicembre 2007

Traslochi Parte (III)


Aveva sempre pensato che se l'umore non migliora dopo il rituale del caffè del mattino e una doccia calda, allora non ci sono molte speranze di avere davanti a sé una bella giornata.
Ma lei non aveva molta scelta. Buon umore o no, doveva semplicemente far entrare tutta la sua casa – o meglio -, tutte le sue cose in 30 kili di valigie e un paio di scatoloni. In fondo, non erano questi a preoccuparla. Non c'era un limite di peso, ed erano tutte cose da cui non le sarebbe stato difficile stare lontana per un po'. Almeno fino a quando non gliele avessero spedite al nuovo indirizzo.
Per quanto riguarda il resto, avrebbe davvero voluto chiamare il centralino della compagnia aerea e chiedere se, per favore, date le circostanze, le sue valigie potevano pesarne 1000, di kili.
In quell'inedito delirio da trasloco, riuscì anche ad immaginarsi la scena.
“Quanti?” avrebbe domandato una voce, tradendo una certa incredulità, non tanto per la richiesta singolare, quanto piuttosto per l'improvvisa svolta nella monotona mezza giornata-part-time mal retribuito-lavorativa.
“1000. Se solo poteste farmi questo favore. Ve ne sarei grata per sempre”.
“Lei ha voglia di scherzare, non è possibile! E poi scusi, se anche fosse possibile, come farebbero a pesare così tanto le sue valigie? Non capisco che ci deve metter dentro!”
“La mia migliore amica, per esempio. Anzi, la mia migliore amica e tutte quelle volte in cui abbiamo realizzato di colpo che anche per quell'appello, l'esame non avremmo fatto in tempo a prepararlo e abbiamo ripiegato sull'ennesimo acquisto di biancheria intima.
E poi tutti i ragazzi “originali” che hanno perso il mio numero di telefono e che ho aspettato che lo ritrovassero seduta al tavolo della cucina con mia madre. Ridendo e piangendo.
La mia camera, che pesa un po', e tutto quello che c'è dentro. E l'odore di soffritto della domenica mattina, i litigi furiosi dei vicini del piano di sotto che ti chiedi perché non si siano ancora separati, il rumore delle posate sui piatti prima che arrivi l'estate.
Ah, e anche gli ultimi secondi di freddo davanti al portone. L'ansia, il dolore e la noia. L'ebbrezza, la speranza e la felicità.
Le volte in cui sono uscita e rientrata da quella porta cercando tempesta e trovando riparo...”.
Avrebbe potuto continuare per molto tempo ancora, tanto le parole se le sarebbe portate via l'acqua bollente e un po' di bagnoschiuma al cocco e tanto, soprattutto, nessuna centralinista l'avrebbe mandata a quel paese.

1 commento:

Unknown ha detto...

mucho malinconica..