sabato 8 dicembre 2007

Traslochi Parte (1)


Le sue case avevano sempre avuto muri di cartone e infissi di nastro isolante, mobili fatti di libri e pranzi di pane caldo e mortadella.
Una volta sentì dire ad una psicoterapeuta che nella lista degli eventi traumatici nella vita di una persona, il secondo posto spetta ai traslochi. Il primo, naturalmente, alla morte.
Eppure a lei non era mai sembrato tanto male. Il trasloco, non la morte. E comunque, con il lavoro di suo padre, era meglio diventare bravi a saperne cogliere i lati positivi.
Non che sprecasse le sue energie a pensare a quanto sarebbe stato bello ed emozionante, o a quanta paura le faceva l'idea di dover essere in un altro posto e con altre persone. Questa, pensava, era roba da “neofiti” del trasloco.
Per lei, che era pura elettricità, i traslochi erano esercizi spirituali culminanti in una personale reinterpretazione del nirvana.
Cominciava sempre con l'andare a mendicare umilmente scatoloni nei supermercati. Di solito, tentava di trascinarci anche il fratello, anche se a lui non andava per niente.
Poi divideva le cose in insiemi matematici più o meno coerenti, mentre suo padre iniziava ad imballare.
Arrotolava pazientemente le tazze nelle pagine di vecchi giornali, più per portarsi appresso le notizie e rileggerle quando non lo sono più, che non per preservarle dal triste destino che prima o poi tocca a tutte. Altrimenti non ne compreremmo almeno una ogni volta che andiamo in un grande magazzino a colmare i nostri vuoti esistenziali.
Con le mani ancora sporche d'inchiostro, passava ai bicchieri di cristallo. Faceva degli sforzi quasi ascetici per evitare di schiacciare tutte le bollicine della carta pallinata. E alla fine, se ci era riuscita, si sentiva addirittura una persona migliore.
Poi, si tuffava negli armadi con sua madre e ne uscivano dopo ore in un trionfo di lavanda, le braccia cariche di vestiti del secolo passato che non riuscivano a capire cosa doveva essergli passato per la testa quando li avevano comprati.
Con le ultime forze, si trascinava da sola verso i suoi libri. Ne aveva centinaia e odiava farseli prestare. Ne riempiva molti scatoloni, ma solo a metà, perché se no poi pesavano troppo.
Infine, per tirarsi su, sniffava quell'odore, fastidioso come una nota stonata, del pennarello nero che metteva ordine fra le casse sparse sul pavimento.
Alla fine rimanevano solo le pareti silenziose, il telefono per terra, e la sensazione di aver conquistato una tregua con la propria vita.
Insomma, i traslochi le piacevano, rimescolavano le sue energie, e la mettevano di buon umore. Di solito.

1 commento:

La Francese ha detto...

sempre bello leggerti... mi ricorderò di questo racconto in caso di trasloco, cercherò di evocare il piacere dell'imballo